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Se i "Canti" di Giacomo Leopardi sono una delle opere capitali della poesia moderna è perché hanno saputo realizzarne aspetti per così dire archetipici. Uno di questi è senz'altro la lingua, che Leopardi indaga sui testi degli autori che lo hanno preceduto, discute sul piano teorico, e infine configura in modo nuovo e personale. In questo saggio Simone Moro si occupa di uno degli elementi peculiari della lingua poetica dei "Canti": l'ordo artificialis delle parole, studiato nelle sue forme grammaticali e retoriche per rivelarne i valori stilistici e poetici, in relazione alle dichiarazioni dello Zibaldone sugli ardiri e lo stile sublime. La poesia si è sempre servita di artifici quali iperbati, anastrofi, epifrasi e sinchisi, e in epoca neoclassica il loro utilizzo sistematico ha configurato un vero e proprio programma letterario. Perché allora Leopardi, che si propone di dare all'Italia una poesia nuova e moderna, recupera stilemi tanto tradizionali? Come li impiega all'interno dei testi? Quale significato espressivo racchiude una scelta maturata in rapporto consapevole con la poesia del passato e il panorama poetico del suo tempo? Un'analisi stilistica svolta sui "Canti" e insieme aperta a un confronto con alcuni capisaldi della tradizione suggerisce delle risposte a simili domande, e offre un'interpretazione rinnovata di alcuni testi dell'opera: delle canzoni iniziali, ovviamente, ma anche di capolavori di più ampio respiro come la "Ginestra".